Contenuti e contenitori: le frontiere del packaging alimentare
Coordinatore: Mario Malinconico
Istituto per i Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB)
Intervista a Mario Malinconico
Che evento sarà quello di Expo?
Sarà un convegno seguito da una tavola rotonda, alla quale parteciperanno esperti dell'Unione europea, esponenti della ricerca di base, delle aziende, del Kyoto group.
L'Italia ha una grande tradizione nel settore della plastica, che cosa ne è rimasto?
La plastica l'abbiamo inventata noi. Per la precisione Giulio Natta nel 1954 ha inventato una delle più diffuse, il polipropilene, e nel 1963 ci ha anche vinto il Nobel. Siamo anche stati i primi a metterla in produzione, alla Montedison. Ed è curioso notare che proprio un'azienda nata all'interno di Montedison, Novamont, ha inventato la plastica a base di amido, una delle più promettenti bioplastiche. C'è un filo rosso: vuol dire che nel tempo queste competenze di eccellenza non si sono perse.
Perché gli imballaggi sono così importanti?
Sono fondamentali per l'alimento, sia in termini di sicurezza alimentare che per la capacità di migliorare la conservazione del cibo mantenendone inalterata la qualità il più a lungo possibile. Oggi non è più solo un mezzo di confinamento e di protezione meccanica del cibo ma ricopre un ruolo sempre più attivo.
A cosa serve oltre che a proteggere il prodotto durante il trasporto?
Per esempio permette di sterilizzare il cibo, dunque di abbattere la carica microbica che può provenire da un deperimento anticipato, dalla contaminazione o dalla manipolazione. Il cibo ancora oggi può essere trattato solo prima del confezionamento, per abbattere i microbi, ma una volta imballato non si può più manipolare. E' un problema, tipicamente per i prodotti di quarta gamma, come le verdure già lavate e pronte.
Come si può intervenire quando il prodotto è stato imbustato?
Il segreto è nella busta. Se questa è fatta di film plastici resistenti alle radiazioni, il prodotto può essere trattato quando è già chiuso, e a quel punto non più suscettibile di entrare in contatto con i microbi. I film commerciali attualmente disponibili, però, se esposti ai raggi gamma si possono degradare. Occorrono film resistenti e completamente stabili, che stanno appena iniziando a fare la loro comparsa. La ricerca è ancora in corso.
A proposito di ricerca, in che direzione va?
Una frontiera molto interessante è quella dei film attivi. Sono quei film che nel corso del loro utilizzo rilasciano sostanze incorporate nel film stesso che sono in grado di interagire con il cibo permettendo per esempio il mantenimento delle caratteristiche organolettiche, o il rallentamento del deperimento. Finora si pensava all'imballaggio come ad una gabbia impermeabile. Al contrario, sostanze ingabbiate nell'imballaggio, per effetto della permeabilità intrinseca di alcuni film plastici, possono essere rilasciate e migliorare la conservazione del cibo.
Gli imballaggi potranno aiutarci a scegliere i cibi migliori?
Lo faranno i film intelligenti, grazie alla presenza di sostanze che manifestano variazioni di colore correlate alla temperatura o ad altri fenomeni. Potranno dirci per esempio quando la catena del freddo è stata interrotta e dunque se un surgelato si è scongelato ed è poi stato ricongelato: la confezione infatti cambierà colore in modo irreversibile. Altri film segnaleranno le variazione di ph. Alcuni cibi, tra cui ad esempio le mozzarelle, invecchiando sviluppano sostanze acide. Il loro irrancidimento è dunque connesso con un abbassamento del ph, che oltre un certo livello indica che il prodotto non è più commestibile. Anche in questo caso la confezione cambierà colore.
Il futuro degli imballi è già scritto quindi?
Le tecnologie di cui ho parlato finora sono state sviluppate per film di origine fossile, come polietilene (PE), polietilentereftalato (PET), polipropilene (PP) o polistirene (PS). Oggi però la normativa privilegia quelli biodegradabili, per cui la ricerca si sta riconvertendo ai film biobased, anche se questo comporta difficoltà aggiuntive.